Recensioni

Il sergente nella neve – Sceneggiatura

Ermanno Olmi – Mario Rigoni Stern

IL SERGENTE NELLA NEVE

La sceneggiatura

Ed. Einaudi, 2008, 237 pag.

 

La lettura del libro “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, nell’estate del 1959, fece una tale impressione a Ermanno Olmi che sentì l’esigenza di ricavarne un film sulla cruda verità della guerra, “per fare il bilancio dei valori umani che considero essenziali”, come affermò in un’intervista. Nei mesi successivi Olmi si reca ad Asiago a conoscere lo scrittore per spiegargli il suo progetto e creare assieme a lui la sceneggiatura. Fra i due nasce una bella amicizia che durerà fino alla scomparsa di Rigoni, avvenuta nel 2008 e lo scrittore, che aveva assai a cuore questo libro, riuscì a leggerne le bozze.

Il film non venne mai realizzato, il costo della produzione si era rivelato troppo alto e non se ne fece niente. L’apparato di uomini e mezzi richiesto era dispendioso e il regista trovò difficoltà con alcune società di produzione. Olmi cercava di fare sempre dei film a costi bassi, che presentassero una realtà concreta, documentando la vita contadina delle nostre radici. Per questo motivo scritturava di preferenza comuni persone anziché attori professionisti. Anche per questo film ci si doveva avvalere di interpreti che assicurassero una rigorosa aderenza alla realtà del racconto e dell’ambientazione. La presa diretta sonora e l’uso del bianco e nero che il regista sceglie per realizzare l’opera garantiscono un realismo da documentario di guerra ben lontano dalla finzione cinematografica.

Inizialmente Olmi pensò che lo sfondo più opportuno per le riprese fosse l’altopiano di Asiago, ma poi capì che sarebbe stato impossibile riprodurre l’immensa steppa russa e si mise in cerca dei luoghi adatti in Slovenia. Di questi sopralluoghi esiste una interessante documentazione fotografica inserita in appendice al libro, assieme a foto storiche, disegni e mappe.

Nel trasferire un romanzo dal genere narrativo a quello cinematografico, assicurando l’aderenza al contenuto e al messaggio che lo scrittore vuole trasmettere, si deve sempre tener conto che diversi sono i linguaggi espressivi e che il film diventa un’opera nuova, il cui autore è il regista. Se si attua, come in questo caso, una stretta collaborazione fra i due artisti, l’anima del romanzo rimane inalterata. La sceneggiatura di Olmi ci fa immaginare il film, che non vedremo mai, come se fossimo al buio dentro una sala cinematografica. E se siamo fortunati ad aver letto il romanzo di Rigoni Stern, saremo avvolti in una serie di scene di cui percepiremo non solo la vicenda e l’atmosfera, ma anche le sensazioni del sergente, nel libro narrate in prima persona.

Eppure la differenza di presentazione del soggetto è determinante, già dai due incipit: introspettivo e proiettato su uno sfondo cosmico quello del romanzo, ravvicinato in primissimo piano su un momento di vita quotidiana quello del film, con la scena della macinatura del granoturco, e solo alla fine si capisce che si tratta di soldati al fronte. E così la sceneggiatura è tutto un rielaborare, nel linguaggio proprio del cinema, i tragici eventi vissuti dai soldati italiani durante la ritirata di Russia del ’43 e magistralmente narrati dal sergente Rigoni. Ma, nonostante la struttura diversa, in tutta la sceneggiatura di Olmi rimane tangibile la sofferenza, la fatica, la precarietà che si sintetizza nella domanda-ritornello del soldato Giuanin “Magiù, ghe rivarem a baita?”

La storia del cinema ha perso l’occasione di annoverare un sicuro capolavoro, come ogni film girato da Ermanno Olmi è stato, però ci rimane questa sceneggiatura, da leggere come un romanzo in cui immergersi, ricreandone le scene con la nostra immaginazione.

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